Cenni storici
Come per i birilli, il lancio della forma di formaggio era sovente un gioco d'azzardo, la cui posta andava ben al di là della "forma" in palio, o di una merenda con uova sode o vin brulé. Si racconta che un certo Baraccani in un pomeriggio di metà quaresima, lanciando una forma stagionata di cacio pecorino, perdette insieme alla maggior parte dei beni e dei possedimenti della famiglia, anche il castello di Monterastello nella vallata di Pavullo (Modena). A Novara di Sicilia (Messina) sino agli anni' 50 si lanciava la majorchina, così chiamata dal formaggio "majorchino" di produzione locale.
In Garfagnana (Lucca), si lanciano tuttora le forme di formaggio in gare estemporanee, praticamente tutte le domeniche estive, a Pieve San Lorenzo (frazione di Minucciano) nel torrente Tassonaro (informazioni dal presidente del gruppo sportivo, Marco Biscioni), dove si lanciano forme di pecorino di un pastore di Sassalbo; a Carèggine, Borsigliana (Piazza al Serchio) Piano di Coreglia e soprattutto a Gallicano dove c'è un'ottima pista di lancio della forma (vicino al campo sportivo) e si gioca (con scommesse) ogni domenica pomeriggio di bel tempo, da aprile a tutto ottobre. Nell'alto parmense (a Via Mozzola, alta Valle del Taro e a Corniglio del Bosco, via Parma), il lancio del formaggio si è ridotto a gioco infantile: erano infatti i pastorelli che il giorno di San Giovanni (solstizio d'estate e giorno particolarmente importante per le religioni naturali d'Europa), lanciavano il formajen de San Zvan appositamente preparato per loro. Mentre le aree più conservative continuano a praticare un originario e prezioso lancio della forma di formaggio (collegato tuttavia al gioco d'azzardo popolare), la progressiva sostituzione dell'attrezzo con la ruota disco in legno ha portato ad un coordinamento e ad una pratica "sportiva" delle attività agonistiche che sono via via andate regolamentandosi in un contesto che non sempre è di sagra paesana spontanea.
Origini
Il gioco era praticato già dagli antichi Etruschi. Nella tomba dell'Olimpiade di Tarquinia è raffigurato il cosiddetto discobolo, la cui posizione in realtà è quella tipica di chi stia lanciando una forma di formaggio. Infatti, in origine oggetto del lancio era una forma di formaggio pecorino stagionato, molto duro e resistente, che i pastori lanciavano lungo i tratturi.
La tradizione
La ruzzola è solitamente un disco in legno duro con diametro molto variabile in funzione del regolamento adottato, solitamente da 13 cm per la ruzzola a molto di più per il ruzzolone. Al posto del disco viene a volte usata, come in passato, una forma di formaggio stagionato.
Il gioco consiste nell'avvolgere uno spago intorno alla ruzzola e quindi lanciarla trattenendo un capo dello spago in modo da imprimerle una veloce rotazione. Lo scopo del gioco è di fare giungere il più lontano possibile la ruzzola con un numero prefissato di lanci, oppure raggiungere un traguardo con il numero minore di lanci possibili. Spesso è un gioco di squadra: i giocatori, divisi in squadre di eguale numero, si alternavano cercando di lanciare il più lontano possibile il formaggio, senza farlo uscire dal percorso stabilito, partendo dal punto preciso in cui era arrivati col tiro del precedente compagno di squadra (una specie di staffetta in cui il cacio fungeva da testimone). La squadra che terminava il percorso col minor numero di colpi vinceva il premio consistente nella forma di cacio utilizzata per il gioco.
Le gare si svolgono su campi delimitati, chiamati treppi, appositamente attrezzati per rendere il gioco più movimentato, con salite, curve, ostacoli ecc. In alternativa il gioco, che intuibilmente può avanzare per chilometri, viene praticato anche su strade (asfaltate oppure no). La precedenza del tiro spetta sempre al giocatore in svantaggio ed è obbligatorio seguire il percorso prefissato, sono nulli i lanci che taglino le curve al di fuori del limite tracciato.
La Leggenda della ruzzola di formaggio
Narra la storia che a Pontelandolfo, c’era una volta un ricco Barone, proprietario di molte masserie e tante terre coltivate, ma anche, in parte, tenute a pascolo d’armenti. Questo barone, amava il gioco. Nel tempo di carnevale era aduso ad andar per cantine ad ingaggiar partite di tressette con chiunque gli capitasse a dar la sfida. Una sera di carnevale, per l’appunto, si era già fatto tardi e nella taverna si era al lume di candela, quando il barone si attaccò con un suo lavorante, di nome Pasquale, a giocare a tressette. Pasquale era ritenuto un campione, ma il barone neanche scherzava. Le vincite si distribuirono dapprima equamente da una e dall’altra parte, e l’alea del giuoco andava ad aumentare l’accanimento dei giocatori e di chi li stava a guardare. Poi, Pasquale, cominciò ad avere fortuna. Il gioco durò tutta la notte. Alle prime luci dell’alba, il barone aveva perso due masserie e un buon pascolo tenuto a quel tempo ad erba medica. Il barone era un uomo d’onore e tenne fede ai debiti del gioco, le masserie e il pascolo furono di Pasquale. Ma le vecchie vacche del Barone della stalla alta, abituate al vecchio pascolo, non ebbero notizia del cambio di proprietà e vennero a pascolare dove, da sempre, avevano più gusto a mangiar erba. Ma il pascolo era ora di Pasquale e lui lo venne a sapere. Pasquale era un uomo di carattere, non ebbe a tenersi tale affronto: si recò dal Barone all’ osteria del paese, e pretese il suo: “Le vostre vacche sono scese a pascer la mia erba – disse al Barone – e a me ora tocca parte del formaggio che da loro ne avrete “ . Il barone reagì alla arrogante richiesta di Pasquale: “Giammai, te lo darò. La terra si che ti spetta ma la prima erba che era là, sul campo, gia prima della vincita, e’ ancor mia!” Naque la contesa. Ci furono partigiani per l’una e per l’altra parte. In breve la cosa diventò grossa. I nobili dell’ epoca davan ragione al barone. Gli umili e senza casato furon subito con Pasquale. Il Barone non si tenne la cosa e una notte mandò un fidato ad appendere una forma di cacio al balcone di Pasquale in segno di sfregio, perché tutti vedessero. Non poteva finire così e Pasquale non gradi l’omaggio. Ci pensò, ci ripensò e da uomo accorto quale era, non voleva che tutto volgesse al peggio. Chiamò alcuni amici fidati e mandò, al barone questo messaggio: “Quello che e’ nato dal gioco, nel gioco finisca. Ci vediamo domenica mattina sotto alla piazza della Teglia. Il Barone non aspettava altro. Era un uomo forte e preciso e la partita di formaggio fu uno spettacolo che, dicono, non s’è più visto. Vinse il barone al’ammonte. Al sott pattò Pasquale. Continuò così per tutta la notte e i giorni appresso. Narra la leggenda che la partita non e’ mai finita e ancor oggi nelle notti di carnevale Pasquale e il Barone continuano la partita di formaggio che non avrà mai fine, fino a quando questo gioco resterà vivo nel cuore, nella mente e nell’anima di chi nasce a Pontelandolfo. E ogni anno, il gioco si rinnova. Durante il carnevale i Pontelandolfesi più gagliardi scendono sul viale per emulare le gesta di Pasquale e del barone nell’antica tenzone. Carlo Perugini
Citazioni e personaggi illustri
La ruzzola è stato sempre uno sport praticato in prevalenza da pastori e contadini, più rara la partecipazione di nobili, ecclesiastici o intellettuali.
- Il pittore e illustratore romano Bartolomeo Pinelli fece, nel 1809, un'incisione in cui rappresentava giocatori di ruzzola.
- Il poeta in romanesco Giuseppe Gioachino Belli scrisse un sonetto intitolato Er gioco de la ruzzica:
- Sta cacca de fà a rruzzica, Dodato,
- Co la smaniaccia d’abbuscà ll’evviva,
- Nun è ggiro pe tté, cche nun hai fiato
- De strillà mmanco peperoni e oliva.
- Come sce pôi ggiucà, tisico nato,
- senza dajje ’na càccola d’abbriva?
- Nun vedi la tu’ ruzzica sur prato
- c’appena ar fin de ’na scorreggia arriva?
- Co ’ddu pormonettacci de canario,
- d’indove mommò er zangue te se sbuzzica,
- tu protenni de prennete sto svario?
- Stattene in pasce: ggnisuno te stuzzica;
- si ppoi vôi vince tu, vva’ a Montemario,
- pijja la scurza e bbutta ggiú la ruzzica.
- La ruzzola è citata perfino nel Dialogo sopra i Massimi Sistemi di Galileo, il quale a proposito del moto rotatorio cita a sua volta Aristotele:
- Sagredo
- Questo primo depende da un altro; il quale è, onde avvenga che, tirando la ruzzola con lo spago, assai più lontano ed in conseguenza con maggior forza va, che tirata con la semplice mano.
- Simplicio
- Aristotile ancora fa non so che problemi intorno a questi proietti.
- Salviati
- Sì, e molto ingegnosi, ed in particolare quello onde avvenga che le ruzzole tonde vanno meglio che le quadre.
- Sagredo
- E di questo, signor Simplicio, non vi darebbe l'animo di sapere la ragione, senza altrui insegnamento?
- (ecc.)
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